Futuro sarebbe meglio scriverlo al femminile come abbiamo fatto nel titolo del Futura Festival. Fin dal primo momento siamo partiti da una suggestione, la bellissima canzone di Lucio Dalla, le sue parole così dense di profezia, “chissà chissà domani su cosa metteremo le mani... nascerà e non avrà paura nostro figlio e chissà come sarà lui domani, su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani, si muoverà e potrà volare, nuoterà su una stella, come sei bella, e se è una femmina si chiamerà Futura” e abbiamo poi guardato con malinconia un presente che pare contraddire il sogno di Futura.
Da qui il passo è stato breve. Un festival per pensare al futuro tra utopia e realtà, tra sogno e risveglio attraverso le lingue della filosofia, delle scienze, della nuova cultura umanistica, della scena teatrale e musicale, in una città che si vuole aprire al confronto e alle dinamiche di cambiamento, pur con le ferite aperte di un tempo presente che spesso stenta a diventare futuro. Non le sorti progressive dell’umanità, Leopardi ci guarda dalla nostra collina e ci ammonisce, ma un domani che non può che essere diverso da un oggi sofferente.
Nodi da sciogliere, percorsi da iniziare, parole che devono farsi cose, fatti, uomini e soprattutto donne, ancora purtroppo non sufficientemente protagoniste nel tempo che abitano. Futura lo sarà invece del suo tempo se il mondo saprà dare luogo a chi non ha luogo, dare tempo a chi si affaccia alla vita e ci chiede quale pianeta gli abbiamo preparato. Un festival per andare oltre. Oltre il presente, sicuramente, ma anche oltre la paura, le incertezze, le rinunce, le passività. Il coraggio della speranza, una giovane e importante filosofa italiana Michela Marzano ha parlato recentemente di etica della fiducia. Il nostro festival, in tempi di raggomitolamento in una dimensione tutta individuale di pessimismo, vuole riportare la discussione sul “noi” e, grazie alla forza delle idee, ritrovare insieme la strada della nuova umanità. Chi nasce dovrà avere più opportunità di noi che siamo già vissuti. Futura, la bambina del nostro logo, saltella per raggiungere un frutto che si può cogliere.
Il Direttore Artistico
Gino Troli
"La teologia aveva considerato l’anima in opposizione al corpo e, quindi, alla terra.
L’aveva pensata come un seme divino messo a germogliare nella terra del corpo, per trovare poi il suo compimento nel luogo da cui proveniva, quello ultraterreno.
Un festival che si occupa di futuro non può che lavorare, invece, a ristabilire uno stretto collegamento fra anima e corpo: entrambe espressioni del mondo nella sua sostanza più terrestre, ancorché contenente una tensione strutturale verso l’assoluto.
L’anima la si può perdere, salvandola. E la si può salvare, perdendola. Anche qui, non c’è opposizione, come invece suggeriva la teologia. La si perde quando la mondanità la seduce e la raggira con le sue illusioni effimere. Ma l’attimo dopo può essere salvata quando torna la memoria della destinazione spirituale alla quale anelare.
In definitiva, pensiamo di indagare quel nodale punto di contatto fra ancoraggio alla realtà terrena e navigazione nel mare dell’utopia: unica possibilità per allungare lo sguardo verso l’infinito.
Seminari di studio, incontri filosofici, lezioni per scoprire se l’anima ha un destino, se noi viventi ne siamo coinvolti, in poche parole, se il futuro ha un’anima.
Lucilio Santoni
La letteratura ha un futuro o si avvia mestamente a diventare, come qualcuno ipotizza, un linguaggio postumo, o tutt’al più, una forma dell’intrattenimento, un consumo tra gli altri?
La scommessa del Festival è di puntare sulla letteratura come insostituibile forza conoscitiva e utopica, capace di alimentare il nostro senso critico verso l’esistente e di prefigurare mondi diversi.
Potranno cambiare in parte supporti e dispositivi elettronici, al libro si affiancheranno altri strumenti di lettura (in un racconto di Asimov del 1951 si prevede un futuro in cui il libro a stampa sarà un reperto archeologico), ma sapendo che l’e-book, che pure è una alternativa al caos della Rete, ha una obsolescenza maggiore di qualsiasi prodotto cartaceo.
La letteratura che ci piace è una letteratura che urta, che provoca, che crea anche un effetto un po’ spaesante di jet-lag, e che lo fa attraverso una qualità dello stile e dell’immaginazione.
Gli incontri e le conversazioni del festival ruoteranno tutti intorno alle prospettive della scrittura intesa soprattutto come elemento di resistenza, come prezioso “anacronismo” che manterrà sempre una sua funzione critica; privilegiando i generi letterari (romanzo, saggio, poesia) ma ampliando l’orizzonte verso l’etologia, la sociologia, la linguistica, l’economia.
Filippo La Porta
Lo sguardo sul mondo, oltre che necessario alla sua comprensione, è anche la Weltanschauung che ci prepara a cambiarlo, la visione nuova che prima della pratica ci fa immaginare la prospettiva e il disegno, la forma del futuro.
Visioni come punti di vista, come modi di concepire e percepire la realtà. Da qualche parte abbiamo letto che la visione del mondo - resa infine esplicita dalla interpretazione ed elaborazione filosofica - è paragonabile ad una storia coerente, ad uno “schema comprensibile”, ad una mappa di significati del dominio problematico attraverso cui è possibile articolare ed organizzare il proprio dilemma all’interno di un quadro, insomma ad una “immagine significativa completa che delinea struttura, schemi ricorrenti e interconnessioni” propri di una vita, di un’esistenza individuale.
Vogliamo partire da qui per una disamina degli sguardi possibili: l’arte, il cinema, la televisione, luoghi e forme della visione contemporanea.
Voci da questi mondi verranno a dirci i futuri possibili tra linguaggi morenti e lingue globali.
Vedremo ancora come abbiamo visto, parleremo ancora i gerghi di mestiere, persisteranno le variazioni diafasiche o ci troveremo unici superstiti destinati a salvare la vita dentro ad un’arca della nuova era o, più facilmente, dentro un film di Stanley Kubrick?
“...A ogni secolo e a ogni rivoluzione del pensiero sono la scienza e la filosofia che rimodellano la dimensione mitica della immaginazione, cioè il fondamentale rapporto tra gli uomini e le cose” (I. Calvino)
Sono le parole di un grande scrittore il viatico per occuparci di Pianeta ovvero una sezione del festival dove si intrecciano i ferri del mestiere di abitanti della Terra, un luogo per il quale il futuro è spesso sinonimo di instabilità, pericolo di distruzione, rischio di non conservazione del patrimonio ambientale e di quello umano, tramandatoci dai secoli passati e spesso sprecato in un attimo dall’uomo del presente.
Qui nel Pianeta ci vengono in soccorso le scienze, non sempre conosciute o ascoltate nei loro moniti a questo equilibrista del cosmo che è l’uomo.
La presenza di importanti e qualificati intellettuali che si muovono tra scienze fisiche, filosofia della tecnica, mondo elettronico e digitale, affrontando da tempo questi temi e anticipando le linee del mondo che sarà, è un elemento fondamentale per aprire un territorio dinamico come il nostro alle nuove prospettive possibili e al dialogo necessario tra individui o “creature planetarie” perché “la narrazione è insopprimibile - ha scritto Giuseppe O.Longo che sarà ospite del festival - la parola deve circolare, altrimenti moriamo senza morire”.
"Homo Ludens” e Futuro sembrano una coppia singolare, di quelle male assortite che quando si incontrano per strada possono suscitare una reazione da umorismo pirandelliano. Invece abbiamo la certezza che solo facendoli incontrare si può aprire qualche prospettiva in quel tunnel di paure e incertezze che sembra non finire mai.
Huizinga, alle porte della seconda guerra mondiale, quasi per esorcizzare la minaccia della catastrofe incombente, scrisse questo mitico trattato antropologico in cui per la prima volta al centro della analisi culturale fu messo il gioco.
Homo Ludens, dice Eco, non stila certo una grammatica del gioco e, cosa ancor peggiore, alla necessità di una teoria del gioco predilige una più vaga teoria del comportamento ludico. “Egli non è interessato affatto a dirci quale sia il gioco, e come funzioni, ma al fatto che questo gioco viene giocato.” Perché dunque non giocare al futuro o meglio immaginare che l’Homo Ludens possa trovare una chiave per aprire lo scrigno del domani nelle sue manifestazioni meno seriose e impegnate, ovvero in quella naturalezza del “ fanciullino che è dentro di noi”?
A conferma di ciò scriveva Huizinga “...la cultura vera esige sempre e per ogni rispetto fair-play, e fair-play non è altra cosa che l’equivalente, espresso in termini di gioco, di buona fede. Il “guasta-gioco” guasta la cultura stessa.”
Futura Festival apre i giochi al futuro e invita alcuni dei nostri eroi ludici a raccontare perché giochiamo e come giocheremo.